Da Nannup a Perth – gli ultimi 486 km
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Nannup è l’ultimo paesino immerso nelle foreste dell’entroterra. Vado via a malincuore. Da questo momento in poi, infatti, mi dirigo verso la costa e la percorro tutta, fino a Perth.
Questi giorni mi hanno fanno pensare tanto. Tutto quel silenzio mi ha fatto ragionare sul significato del silenzio stesso. Quasi tutti, me compreso, colleghiamo il silenzio con sentimenti negativi quali la noia o la paura. In questo viaggio, invece, l’ho rivalutato. Ho imparato a gustarmi il silenzio per lunghi periodi e la pace che ne consegue. Ognuno di noi, dopo aver passato un determinato periodo di tempo in silenzio deve dire o fare qualcosa. Come se fossimo costretti a interrompere quel niente e ci si dovesse per forza distrarrre. Come se il silenzio fosse la causa di tutte le nostre angosce. Ognuno di noi ha bisogno di distrarsi con qualcosa. Non so bene perché. Io ho provato a fermarmi a lungo, ascoltare il silenzio e cercare di rifiutare qualsiasi tentativo di distrazione. Ho imparato a sedermi e chiudere gli occhi. Nient’altro. Anche mentre pedalo; spesso mi tolgo gli auricolari, in modo che il mio respiro, gli uccelli e il rumore del vento che si muove tra gli alberi siano le uniche cose a riempire lo spazio (a volte anche quello della catena, se non è oleata bene).
Dal silenzio si impara tanto. Il silenzio è una costante forma di ispirazione, di creatività. È una sensazione bellissima, che ti riempie, ti da energia e ti fa rendere conto quanto sia importante prendersi cura di se stessi e del proprio tempo.
Take your time, si dice qui. Bisogna ‘prendersi il tempo’, per se stessi sopratutto. Più che altro bisognerebbe trovare la giusta armonia tra se stessi e il tempo. Noi non dobbiamo rincorrere il tempo e il tempo non ci deve sopraffare . È fantastico riscoprire quanto sia semplice trovare questa armonia. E io ci sto riuscendo, giorno dopo giorno.
Con questi pensieri per la testa mi dirigo verso Augusta, un paesino di circa mille abitanti sulla costa sud occidentale. In questa zona si trova il Cape Leewuin Lighthouse, il faro più alto del continente australiano nonché uno dei più vecchi. Oltre al suo solito fascino, questo faro è importante per il fatto che si trovi nel punto più a sud ovest dell’Australia, dove l’Oceano indiano e l’Oceano del Sud si incontrano. Nonostante il prezzo elevato volevo visitarlo quindi mando un messaggio a Paul, il signore che mi avrebbe ospitato quella sera, per dirgli che sarei passato a casa sua per depositare i bagagli così sarei andato al faro un po’ più leggero. La risposta è stata: certo, vieni pure, io vivo qui, nel faro. Tutta la felicità che sentivo addosso si è moltiplicata in un istante. Aveva proprio ragione una mia cara amica quando qualche giorno fa mi disse “stai tranquillo, con tutta l’energia positiva che hai e che trasmetti non farai altro che attrarre altra energia positiva”.
Incontro Paul in un pub, prendiamo un caffé e ci dirigiamo verso il faro; visita gratuita, dato che lui è la guida ufficiale. Mi parla dei guardiani che si sono succeduti negli anni, di come funzionava il faro. Mi ha fatto vedere delle vecchie foto. Mi ha fatto sognare.
Ceniamo, continuiamo a chiacchierare senza sosta e andiamo a letto. Il giorno dopo saluto Paul, il faro e inizio ad attraversare tutta la costa da Augusta a Dunsborough, per un centinaio di chilometri. In questa zina, oltre al faro, le attrazioni turistiche sono le diverse grotte distribuite su tutto il litorale e le rinnomate cantine vitivinicole.
L’odore degli eucalipti scompare per dare spazio a un continuo odore di mosto. Un odore che per la prima volta non mi fa venire voglia di fermarmi e comprare una bottiglia, ma mi riporta indietro negli anni. Almeno una decina. Quegli anni quando con gli amici ci rinchiudevamo nelle cantine a bere vino fino allo sfinimento. Quegli anni in cui, un po’ come ora, non si avevano troppe cose per la testa. O forse ce le avevamo, ma erano abbastanza futili. Ci interessava solo divertirci, stare in compagnia; degli amici e del vino. Molti di quegli amici sono ancora lì, a fare le stesse cose che facevamo allora, altri si son mossi, e son tornati, altri son partiti e mai più rientrati, altri ancora non ci sono più.
Insomma, io la Margaret River Region (si chiama così questa zona) me la sono goduta così, a ricordare i miei amici e tutte le avventure passate insieme. Il mosto aveva fatto effetto. Mi sentivo ubriaco. Di felicità.
Arrivo a Dunsborough nel primo pomeriggio, vado a casa di Gregg, che mi fa mettere la tenda nel suo giardino (lui stava partendo per il weekend), faccio un giro nel paese e poi rientro in tenda. Dunsborough è il classico paesino sulla costa, non troppo lontano dalla città (in questo caso Perth) dove le famiglie benestanti hanno la seconda casa o ne affittano una per passare i weekend. È piena di boutique e locali. Le strade brulicano di ragazzini col petto gonfio, capello biondo e abiti firmati. Quantomeno loro non hanno i mocassini ma le infradito! Gli automobilisti sono antipatici e irrispettosi dei ciclisti. Il giorno, dopo, infatti, dirigendomi verso Bunbury, ho dovuto mandare a quel paese alcuni di loro.
Attraverso Busselton, dove si trova una favolosa pista ciclabile che costeggia tutta la Geographe Bay e le sue spiagge. Il paese è famoso per il suo jetty, il molo in legno costruito nel 1865 che vanta di essere il più lungo dell’emisfero australe. Purtroppo un ridicolo trenino carico di bambini schiamazzanti e cinesi dall’indice impazzito lo attraversa togliendogli tutto il suo potenziale fascino. Mi fermo giusto per riempire quella voragine che mi si stava creando nello stomaco. Sono le dieci del mattino, ho fatto colazione verso le otto ma, come ogni mattina, mi sembra di non mangiare da un’eternità. Forse sto bruciando più calorie di quanto credessi o forse ho il verme solitario. Oppure sto crescendo. So solo che l’ultimo periodo in cui ero così affamato e non riuscivo a smettere di mangiare era più di una decina di anni fa. Quando aprivo tutti i cassetti della cucina e divoravo tutto quello che c’era. Il mio unico obbiettivo era riempirmi lo stomaco con più cose possibili. Prima la frutta, poi pane e formaggio, poi il pane carasau con mezzo barattolo di nutella, poi salsiccia e per finire spesso mi facevo una tazza di latte con delle merendine. Ora più o meno è lo stesso. Mangio solo con lo scopo di riempirmi la pancia con le prime cose che capitano.
Dopo aver terminato un piccolo spuntino a base di hamburger, banane e cookies al cioccolato e cocco riprendo a pedalare lungo la costa. Poco prima di immettermi nell’autostrada mi fermo a chiedere informazioni a una coppia. Ad un certo punto vedo la signora distorcere la bocca (mettendo in mostra una dentatura di fronte a cui qualsiasi dentista alzerebbe le mani in aria in segno di arresa) e emettere qualche suono; “U- u e – e”. Bene, penso, ci manca solo che debba soccorrere la signora in preda ad un ictus o chissa che cosa. Dopo qualche secondo però continua “U e tu de la France”. Capisco quindi che non era un ictus ma un misero tentativo di parlare francese. Mi assale un senso di superiorità e cattiveria allo stesso tempo e con un francese fluentissimo con tanto di erre moscia, che più moscia non si può, le rispondo: no signora, mi dispiace, non sono francese, sono italiano. Poveri australiani e la loro continua e assillante voglia di imparare le lingue.
Arrivo a casa di Barry per l’ora di pranzo, mangiamo (credo qualcosa come 200 gr di spaghetti a testa), passiamo il pomeriggio insieme a scambiare due parole poi mi lascia solo nella sua bellissima casa dato che lui lavora di notte.
Il giorno dopo inizio a pedalare verso le nove, senza una meta precisa, visto che non sapevo dove campeggiare. Come sempre mi sono fidato del mio istinto, che questa volta mi ha detto “paga 35 dollari per un campeggio, tanto non è possibile campeggiare altrove”.
La strada che mi porta in direzione di Perth è abbastanza tranquilla ma qualcosa è cambiato. Succedono delle cose fuori dal comune. Cataste di mobili, sanitari e cianfrusaglie di qualsiasi genere adornano le entrate delle case. I tamarri con la macchine e le moto super pimpate fanno le gare, sgommano e immettono costantemente nell’aria odore di frizione bruciata. Ai bordi delle strade ci sono macchine abbandonate. Gli automobilisti che mi sorpassano suonano costantemente, nessuno mi saluta tantomeno risponde ai miei saluti. Dov’è finito l’odore degli eucalipti? Delle carcasse di animali morti, dell’aria salmastra, dei fiori?Mi state dicendo che non posso più fermarmi e fare la pipì direttamente dalla bici ma devo cercare per forza un bagno? Che non posso campeggiare dove capita? Mi state dicendo che non posso più cantare a squarciagola?
Non vedo l’ora di arrivare in città e di lasciarla allo stesso tempo.
Per fortuna decido di fermarmi una notta a Fremantle, una ventina di chilometri da Perth. Un posto spettacolare. Nell’aria c’è un non so ché di bohèmiene. Nel centro ci sono palazzi in stile vittoriano, ovunque sono presenti boutique, gallerie d’arte, caffè, negozi di qualsiasi genere e pub. Da Bather Beach si godono dei tramonti fantastici e le strade sono colme di persone di ogni genere e artisti di strada. Street art quasi in ogni via. Qui i tamarri, sempre presenti, si mischiano agli hippie di vecchia data, ai ragazzini freakettoni, al terntenne un po’ alla buona e al classico ragazzo australiano con il muscoli in vista e le infradito sempre ai piedi.
Che bella rivelazione Fremantle.
Il giorno seguente, dopo aver visitato la suggestiva prigione, percorro una pista ciclabile lunga venti chilometri da Fremantle a Perth per arrivare a casa di Miranda e Steve, la famiglia che mi ospiterà per una settimana!
Accoglienza più che degna per questa traversata del continente. Sono arrivato dall’altra parte dell’Australia. Io e Bruna ce l’abbiamo fatta, il contachilometri segna 5758 Km. Nell’aria c’è tanta soddisfazione.
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Andrea Got Lost