Partenza da Perth

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Non so bene per quale motivo ma continuo a sentire quella calamita che mi attira verso Perth. Mi sveglio con un leggero cerchio alla testa. Non mi sento per niente pronto per ripartire, sia mentalmente che fisicamente. Forse ho esagerato con le bottiglie di vino. Forse ho esagerato con i rapporti umani.

Sono le undici e mezza del mattino e io sono ancora in città e mi accorgo di aver perso un guanto. Mangiandomi le dita di entrambe le mani vado in un negozio di biciclette e mi faccio rubare trenta dollari per il paio di guanti più economici del negozio: neri (odio questo ‘colore’) e invernali (adatti per le zone desertiche che sto andando a visitare). Per risparmiare tempo e traffico (di certo non soldi) decido di prendere il treno che mi porta a Butler, una cittadina poco fuori Perth. Inizio a pedalare, cercando di ragionare sul perché non mi senta ancora pronto per questa partenza. Boom! Per un momento pensavo fosse un’illuminazione, una risposta ai miei dubbi. Invece abbasso lo sguardo e mentre sento un forte ‘pfssss’ vedo la ruota di dietro che piano piano perde pressione. Benedico tuttti gli angeli del firmamento, scendo dalla bici, smonto le borse, la capovolgo e noto che un gran pezzo di vetro ha perforato non solo la camera d’aria ma anche lo pneumatico. Gli pneumatici Schwalbe Marathon sono famosi in tutto il mondo per essere robusti, antiforatura e resistenti. Si usurano di solito non prima dei quindici mila chilometri. E io pensavo di usarli così tanto. Noto che la tela non è gravemente danneggiata all’interno quindi tappo il buco del pneumatico inserendoci una pezza e cambio del tutto la camera d’aria (che per fortuna avevo di scorta al contrario del pneumatico). Proviamo se funziona, dico. Faccio una cinquantina di chilometri e tutto funziona alla perfezione. Mi fermo a chiedere acqua in una casa visto che ho bevuto tutta quella che avevo. Il sole batte forte e la disidratazione è sempre alle porte qui in Western Australia! Il signore, gentilissimo, non solo mi concede di fare scorta d’acqua ma mi offre di campeggiare nel suo giardino, dicendomi che avrei potuto usare la doccia ect. Non so ancora perché, ma rifiuto, dicendo che avrei preferito fare ancora un po’ di chilometri. Dopo neanche un’ora inizia a far buio e mi fermo in un slargo in mezzo a delle dune di sabbia. Mi sdraio sotto un cielo stellato e il suono delle cicale. Forse era questo il motivo per cui ho rifiutato l’offerta del signore.

Il giorno dopo mi rimetto in sella. Una sessantina di chilometri più avanti si trova il Pinnacles Desert, una delle attrazioni più famose e suggestive del Western Australia. Una zona desertica dove spuntano delle formazioni calcaree che creano un paesaggio surreale. Non vedo l’ora di visitarlo. Boom! Non guardo verso il basso ma rivolgo lo sguardo verso l’alto per benedire di nuovo tutto il creato. Ruota completamente a terra. Capovolgo la bici e capisco che sia lo pneumatico che la camera d’aria sono inutilizzabili. Allungo il braccio e tiro su il pollice. Chissà se mi capiterà mai di essere in panne e di dover fare mai autostop, ho pensato durante tutto il viaggio. Capisco che quel momento è arrivato. Dopo un’oretta riesco a rimediare un passaggio da un ragazzo con un 4×4 che mi porta a Cervantes, a una trentina di chilometri. Addio Pinnacles.

Passo tutta la giornata a cercare una soluzione. Il prossimo bike shop è a Geraldton, a 250 km a nord. Perth è più vicina e gli pneumatici costano di meno, ma purtroppo non riesco a trovare un modo per tornare indietro. Affianco al punto dove sono bloccato c’è una signora, un’insegnante di yoga che ha appena aperto la sua scuola e orgogliosissima decide di farmi vedere tutto quello che era riuscita a mettere in piedi. I suoi modi ‘new age’, ‘peace and love‘ e ‘everything is gonna be alright‘, però, non combaciano proprio con il mio stato d’animo quindi seguo uno dei suoi consigli; lascio i bagagli e Bruna in custodia nell’ufficio informazioni e me ne vado al mare a rilassarmi. Decido quindi di prendere un bus a mezzanotte e mezza che arriva a Geraldton alle tre e mezza del mattino. Barbara e Tim, la famiglia che mi ospita, si offrono di venirmi a prendere in stazione nonostante l’orario…

Una volta presa questa tanta agognata e triste decisione (vuol dire perdermi tutto questo tratto di costa che è uno dei più belli della costa occidentale), rientro verso le cinque e mezza per ritirare i bagagli e la bici – visto che l’ufficio informazioni chiude a quest’ora – e incappo di nuovo nell’insegnante di yoga, che vedendo la mia faccia non del tutto rilassata mi offre di prender parte alla sua lezione delle sei.

Ho passato due ore a cercare di concentrarmi, ma con poco successo. Non ho fatto altro che pensare a come la mia giornata fosse iniziata con un pneumatico distrutto, bloccato in mezzo al niente a fare autostop per finire con la testa schiacciata in terra, i piedi in aria, dolori ovunque, cercando di bloccare invano il circolo di aria intestinale che tutti quei movimenti stavano creando.

Finisco le due ore di yoga super rilassato, sia fisicamente che mentalmente. Ringrazio infinite volte Allison, l’insegnante, ed esco dalla scuola in attesa del bus. Il paese è buio, sembra disabitato e il freddo inizia a farsi sentire. Da vero barbone mi siedo in una panchina, preparo una pasta, tiro fuori il sacco a pelo e aspetto il bus con un leggero sorriso in faccia che dice ‘Ma sì, anche questo fa parte dell’avventura’.

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