West Coast – Part 1

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Arrivo a Hobart verso le sei di sera. Bronwyn mi aveva dato appuntamento dicendomi che alle sei e mezza sarebbe dovuta uscire. Mi fa vedere la casa, mi dice dove trovare tutto il necessario e va via lasciandomi casa tutta per me. Ne approfitto per farmi una bella pasta al burro, visto che la desideravo da tempo, faccio una doccia, aggiusto due appunti, faccio due conti e poi verso le otto di sera arriva Darryl, il marito. Chiacchieriamo davanti a un bicchiere di vino per poi andare a dormire verso le undici. La mattina dopo mi sveglio presto. Il tempo fa schifo, il vento soffia fortissimo. Per arrivare in centro devo attraversare un lunghissimo ponte con una ridicola pista ciclabile ai lati larga appena un metro. Ciò vuol dire sbattere alla ringhiera ad ogni folata di vento.

Faccio un giro in centro ma la città non mi entusiasma per niente, quindi vado alla ricerca di un negozio specializzato in attività outdoor per fare le scorte di attrezzature per l’inverno: un nuovo sacco a pelo, abiti termici, pantaloni, cuffia, guanti e sciarpa. Una gran spesa non prevista purtroppo, ma necessaria. L’idea di morire dal freddo nelle montagne mi stava tormentando da giorni.

Compro un po’ di cibo d’asporto e vado in un parco a consumarlo.

Il pomeriggio lo passo a fare ciò che aspettavo da giorni: visitare il Mona Museum (Museum of Old and New Art), uno dei musei di arte contemporanea più importanti dell’Australia. L’edificio da fuori sembra non offrire tanto ma appena si entra dentro si capisce la grandezza e la maestosità di questa opera architettonica. È strutturata infatti su quattro livelli sotterranei, scavati nella roccia, con delle geometrie pazzesche. Le opere che ospita sono anch’esse di una bellezza unica. Passo tre ore a cercare di interpretarle, non sempre con successo.

Una volta rientrato a casa, preparo uno squisito risotto con gamberi, zucchine e zafferano per ringraziare Bronwyn e Darryl della loro ospitalità. Vado a letto con la pancia piena e molto più rilassato rispetto ai giorni precedenti.

Parto da Hobart la mattina presto del giorno dopo e percorro 93 km, tutti contro vento, fino a un campeggio libero lungo la riva di un lago, una decina di chilometri dopo Hamilton. Hamilton, così come New Norfolk (poco prima), sono delle cittadine storiche molto interessanti, ma piuttosto desolate. Mi fermo giusto per darci uno sguardo veloce e fare scorte di viveri visto che nei i successivi 200 chilometri non esistono supermercati o pub. Arrivo al campeggio abbastanza presto (intorno alle cinque del pomeriggio) e faccio conoscenza con due simpatici signori di Canberra che da cinque anni viaggiano per tutta l’Australia a bordo del loro “Motor house” (quei camper grandi come case di cui vi parlavo). Il loro scopo? Percorrere tutte le strade del continente. La moglie, infatti, non faceva altro che sfogliare orgogliosa il “road book” – visibilmente usurato – e farmi vedere tutte le strade percorse (chiaramente sottolineate con un evidenziatore). In cinque anni hanno visitato ogni angolo dell’Australia, ma loro non si arrendono finché il loro amato road book non sarà tutto evidenziato. La notte provo il mio nuovo sacco a pelo, omologato per temperature fino a -5 gradi. Per la prima volta in dieci giorni non patisco il freddo.

L’indomani mattina per colazione preparo il mio primo porrige con cereali e more raccolte il giorno prima. Ho scoperto che questa colazione è facile da preparare e da la carica necessaria per marciare un po’ di chilometri. La giornata non prospetta niente di buono, pioviggina e il vento tira, anche se meno del giorno prima. Appena monto in sella, però, tutto cambia. Le nuvole vanno via, il vento cessa di soffiare e il bel tempo mi accompagna per tutta la giornata. Percorro 86 km fino ad arrivare alla cima più alta del percorso lungo la West Coast. Attraverso la foresta tagliando per una strada sterrata di 25 km, dove il profumo degli eucalipto è di un intenso sconvolgente. L’aria profuma. È fresca. E in più c’è un silenzio tombale. Nell’aria solo il rumore di Bruna che calpesta la strada e il ritmo del mio respiro. Pedalo per quasi sei ore, non sentendo minimamente la stanchezza. Preso dall’eccitazione, infatti, decido all’ultimo minuto di non fermarmi dove avevo previsto ma di continuare fino a Derwent Bridge, il posto dove sarei dovuto arrivare il giorno dopo e da dove partono i percorsi di trekking lungo il famoso Overland Track e altri intorno al lago St Clair. Risparmio così un giorno.

Trovo un posto dove campeggiare piuttosto tardi, verso le otto di sera. Monto la tenda, riscaldo una disgustosa zuppa e vengo invitato da una coppia francese per riscaldarmi accanto al loro fuoco. Accetto volentieri visto che il clima montano si fa sentire! Oggi la luna è piena. Il cielo coperto di stelle. Finalmente.

Mi sveglio sotto la pioggia. Incessante. Nonostante ciò, come avevamo deciso il giorno prima con i ragazzi francesi, andiamo a fare uno dei tanti percorsi di trekking che si diramano lungo il Lake St Claire, appena sotto il famoso Overland Track (un percorso di un’ottantina di chilometri, uno dei più noti al mondo). Ci immergiamo nella foresta pluviale e facciamo un giro di cinque ore, quasi quindici chilometri. Anche se la pioggia non accenna a smettere, continuiamo a camminare, a tratti chiacchierando a tratti concentrandoci sul percorso. A circa metà del sentiero ci accorgiamo che le sanguisughe ci stanno letteralmente succhiando il sangue. Dal quel momento in poi, dunque, iniziamo a controllarci a vicenda come scimmie ogni dieci minuti. È stato abbastanza impegnativo visto che anche gli indumenti impermeabili dopo un po’ cedono, il percorso era pieno di sassi e a tratti dovevamo attraversare dei rigagnoli d’acqua, e spesso, scivolando nei sassi, ci finivamo dentro.

Finito il trekking, ci dicono che purtroppo i bagni con le docce sono solo per chi percorre l’Overland Track, quindi anche stasera niente doccia! Per fortuna nel pomeriggio ho avuto la brillante idea di farmi il bagno nel fiume.

Saluto i ragazzi francesi nel primo pomeriggio e vado a visitare The Wall, un’opera d’arte ancora in fase di realizzazione da ormai una decina di anni. Un artista locale sta scolpendo su dei pannelli di legno scene di vita quotidiana legata alla storia dell’entroterra della Tasmania. L’opera, lunga un centinaio di metri, è ricca di particolari e il posto in cui è inserita è molto suggestivo. All’entrata ti suggeriscono di visitarla sorseggiando un calice di vino o un bicchiere di whiskey. Io vado per il secondo, un gustosissimo Sullivan Cove.

Dopo un’oretta vado al campeggio dove avevo lasciato tenda e bagagli e decido di fare un po’ di legna per accendere un fuocherello e riscaldarmi un po’ prima di andare a letto. La legna è bagnata e il vento soffia forte. In più l’ultima volta che feci un fuoco fu parecchi anni fa. Insomma, un po’ per tutti questi fattori, una vampata di fuoco mi finisce addosso e mi brucia. Prima i peli di entrambe le mani, poi le ciglia e un po’ di barba. Un disastro.

Dopo esseri assicurato di avere ancora peli nel viso e aver cenato, mi rinchiudo in tenda.