Dall’Western Outback a Esperance – 390 Km

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Fa un caldo infernale, il sole batte forte e le strade sono deserte. Ho pensato a queste parole che mi son state dette più volte. Ci ho pensato quando ho aspettato sette (7, sette, seven!) ore in un distributore dato che la pioggia non cessava. Ci ho pensato quando dal niente ha iniziato a piovere forte per mezz’ora e, essendo in mezzo al nulla, l’unico modo per non inzupparmi era fermarmi, allontanarmi dalla strada principale per evitare che le macchine mi schizzassero, indossare il più in fretta possibile la giacca e la mantella impermeabile, rannicchiarmi affianco a Bruna e aspettare che la pioggia cessasse. Ci ho pensato tutte quelle volte in cui mi so trovato in un vortice d’aria e per qualche secondo credevo di essere nel mezzo di un tornado, per poi realizzare che quella temporanea assenza di gravità era causata da un road train (lunghi camion con rimorchi) passatomi a grande velocità a dieci centimetri. Ho pensato a quelle parole il terzo giorno, quando per la maggior parte del tempo c’era quella simpatica e incessante pioggerellina che bagnava l’asfalto e i road train che passavano ogni dieci minuti, da entrambe le direzioni, alzavano un’onda d’acqua mista a polvere rossa.

Da Kalgoorlie a Esperance ci sono 390 Km, un’unica strada con soli due incroci pricipali, diverse miniere e due piccole cittadine. La strada si estende lungo il Western Outback. È una strada con pochissime curve e un unico colore fa da padrone; il rosso. I tronchi degli alberi, le pozzanghere, l’asfalto, la polvere sulle macchine, le rocce, la sabbia, i letti dei laghi e dei fiumi prosciugati. Tutto assume un unico colore. Un rosso con diverse sfumature. Un rosso che ti rapisce e rende affascinante tutto quel niente che hai attorno. Un rosso che da un senso a tutta quella desolazione.

Un rosso che dopo tre giorni è entrato a far parte di me e Bruna. Nel senso che le scarpe, i pedali, le ruote, il telaio, la catena, il cambio e le borse sono piene di polvere e fango rosso.

Ora ripenso alle parole di Steve, il ragazzo svizzero con cui son stato per un giorno, che, quando gli dissi che secondo me lui percorre troppi chilometri al giorno, mi disse “Beh, quando non c’è niente da fare o vedere, pedalo più che posso”. Così ho fatto in questi tre giorni. Ho fatto 115,50 km il primo giorno, 146,50 il secondo e 126,50 Km il terzo. Distanze mai affrontate prima. E non mi sono annoiato neanche per un secondo.

La giornata di un ciclistica nell’Outback australiano è fatta così: appena esce il sole si fa colazione, si sale in sella e si pedala fino all’ora di pranzo, si risale in sella e si pedala fino a poco prima del tramonto.
Il deserto, l’essere coscienti di essere in una zona remota, il silenzio, tutto quel rosso; si viene rapiti da tutto questo e non si pensa più neanche al moto del proprio corpo. Il corpo va da solo e ha bisogno di ricoprire lunghe distanze.

A Norseman, una cittadina a metà strada, mi son fermato in un distributore per fare una doccia e il proprietario mi ha offerto di stare a casa sua, ma, proprio perché il mio unico pensiero era quello di perdermi di nuovo nell’Outbak, ho rifiutato. In più campeggiare nell’Outback è sempre stato uno dei miei sogni. Godermi il tramonto, straordinariamente rosso, che colora l’orizzonte, spostarmi di qualche metro dalla strada principale, mettere la tenda, sdraiarmi e passare le ore coricato col naso all’insù a guardare le stelle che ricoprono letteralmente il cielo, svegliarmi la notte e accorgermi che la luna è così luminosa da illuminare tutto come se fosse giorno. Godermi il silenzio e la pace. Questo è quello che volevo e quello che ho fatto.

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