East Coast Tasmania

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Lungo l’East Coast si estende l’itinerario cicloturistico più popolare  della Tasmania. Nella sua unicità è un itinerario piuttosto vario. Si passa dalla foresta dove poter fare bushwalking alla piccola baia dove ci si può immergere per un bagno rigenerante.

Ci sono, però, due problemi principali: il traffico e il tempo.

Febbraio e Marzo sono i mesi della stagione secca e del caldo estivo. La stagione ideale per visitare questo Paese. Di solito. Quest’anno no. Quest’anno la stagione è tutt’altro che secca e il caldo estivo ci sarebbe se non ci fossero i nuvoloni neri a coprire il sole. Ogni tanto si fa vedere, ti riscalda per cinque minuti, poi la nuvola nera lo ricopre per riversarti addosso tutta la pioggia che conservava da chissà quando. Dopo dieci minuti la nuvola va via e arriva il vento, che soffia in tutte le direzioni e tu non capisci bene da dove provvenga. Ad ogni modo, se stai pedalando, puoi stare sicuro che lo avrai sempre in faccia. Il vento soffia costantemente, porta via le nuvole, per poi portarne delle altre ecc. Insomma, in una giornata ci posso essere tutte e quattro le stagioni e tu devi essere pronto a cambiare il guardaroba. Togli la maglietta, metti la giacca a vento, la ritogli, metti la maglia a maniche lunghe, poi quella a maniche corte, poi di nuovo la giacca a vento. Insomma, da uscirne matti. E nel mentre che pensi a tutte queste cose ti sei perso metà del panorama. In più, rischi di morire ogni dieci minuti. E qui gli animali non c’entrano niente.

Le strade sono strette, anche se qui le chiamano “Highway”, e, essendo alta stagione, i turisti che le percorrono sono tanti. Molti automobilisti ma anche motociclisti ti sfrecciano affianco non curanti del fatto che tu stia cercando con tutte le tue forze di rimanere nella tua corsia, visto che il vento che soffia (anche) dal lato sinistro ti spinge continuamente nel mezzo della carreggiata.

In queste condizioni attraverso l’East Coast da St. Helens a Swansea, percorrendo 265 km.

Il primo giorno, a causa della pioggia, mi fermo in una casetta abbandonata sul lato della strada dove riscaldo una vomitevole zuppa al pollo e mais e preparo uno squisito caffè liofilizzato per riscaldarmi bene le budella e per recuperare energie. Nel tetto divelto della casa si nasconde – o meglio, cerca di nascondersi – un opossum ma la coda gli sbuca da una fessura e io mi diverto un po’ a tirarla. Dopo essermi rigenerato e divertito, riprendo a pedalare, incontrando diversi ciclisti, alcuni nella mia stessa direzione, altri in quella inversa.

Dopo una ventina di chilometri arrivo presso il Nature World, una riserva naturale dove tutti gli animali autoctoni della Tasmania sono liberi di scorrazzare da una parte all’altra. A parte i serpenti, ovviamente, richiusi “giustamente” in delle gabbie a cielo aperto.

Decido di fermarmi in un caravan park nella cittadina di Bicheno, un campeggio frequentato principalmente da quelli che io chiamo campeggiatori a cinque stelle. Al posto dei soliti camper o roulotte, ha appresso delle vere e proprie case, grandi come autobus, con tutti i comfort: televisione, bbq, frigo, cucina ecc. Secondo me c’era anche la lavatrice nascosta da qualche parte.

Dopo aver fatto due chiacchiere con due ragazzi australiani (anche loro stavano facendo il mio stesso giro, ma in macchina – ci siamo incontrati altre quattro volte lungo il tragitto!) approfitto del bbq e del vicino supermercato per fare due hamburger megagalattici, poi decido di fare una passeggiata lungo la costa che circonda il paese, da dove, durante il tramonto, si posso avvistare i pinguini che escono fuori dalle loro tane.

Ho l’ennesima conferma che devo migliorare le mie doti organizzative per quest’attività. Parto con lo zaino pieno di qualsiasi oggetto tranne che delle due cose essenziali: la macchina fotografica e la torcia.

A metà percorso mi ritrovo al buio, in mezzo agli scogli e con i pinguini che corrono da una parte all’altra. Almeno credo fossero pinguini, visto che ne ho sentito solo il rumore. Comunque non persi troppo tempo a cercare di vederli visto che dovevo cercare il modo per rientrare al campeggio.

Ci arrivo dopo un’ora.

Mannaggia a me.

La notte piove, così come il mattino del giorno dopo. E anche il pomeriggio. Mi dirigo verso  Freycinet National Park, una penisola dove si trova la famosa Coles Bay. A dire il vero non mi so ancora spiegare il motivo per cui sia diventata famosa. Forse, e spero, perché si tratta del più grande centro abitato di questa penisola. Proprio perché non ha grosse attrattive, se non una magnifica baia, proseguo verso il parco nazionale vero e proprio. Lungo la strada si iniziano a vedere gli “Hazards”, delle magnifiche formazioni granitiche di un colore che varia dal rosso al rosa passando per uno strano arancione, in base alla luce. Questo parco nazionale è un continuo alternarsi di sabbie bianche, baie appartate, sentieri per fare bushwalking, pareti rocciose, flora e fauna a non finire.

Il parco nazionale vero e proprio, però, si può attraversare solo a piedi. Il sentiero più importante è lungo 31 km e alcuni tour operator organizzano delle escursioni di quattro giorni. Altrimenti, per chi è solo di passaggio e non se la sente di fare così tanti chilometri disperso nel bush, esistono altri sentieri più corti come quello che porta alla famosa Wineglass Bay, un’incantevole baia che deve il nome per l’appunto alla sua forma.

Come vi dicevo questi percorsi offrono degli scorci spettacolari. Ma per me l’attrazione principale era un’altra: i giapponesi. Allora, io non pretendo che tutti siano provvisti di attrezzature di ogni genere solo per farsi un paio di chilometri di trekking. Non pretendo neanche che tu sia in gran forma o preparato fisicamente. Ma almeno un minimo. Basta giusto un occhio di riguardo.

Dunque, prima di tutto non si va a fare trekking in gruppi di 45 persone (ho chiesto) ma una decina dovrebbero bastare. E poi non siamo ad una sfilata di moda. Ho visto tutti i tipi di abbigliamento, ma ciò che mi ha incuriosito di più erano le scarpe: ballerine di qualsiasi genere (anche glitterate!), infradito, tacchi, scarpe da smoking (c’era un signore, ottant’anni circa, che aveva lo smoking!), cult, stivali e per finire ciabatte da mare (alcuni avevano ancora il costume). Per non parlare delle borsette griffate. Per i giapponesi poi non è importante la vegetazione, gli animali, gli scorci e la camminata in se. Per loro è importante fare foto. Di se stessi sopratutto. Poi ai giapponesi piace parlare, come se fossero al bar. Fanno gruppo, ridono, scherzano e non fanno minimamente caso al fatto che tu sia li dietro che da dieci minuti cerchi di sorpassarli. I giapponesi non son fatti per il trekking, diciamocela tutta. Ad ogni modo, questo è l’unico momento della giornata in cui mi son divertito, dato che per il resto della giornata ho lottato contro il vento, il freddo e la pioggia.

Il giorno dopo sopratutto, forse è stata la prima giornata “no” di tutto il viaggio. Da Swansea a Buckland, a parte alcuni tratti, il paesaggio non offriva un granchè e il tempo continuava a far schifo. Arrivo a Buckland, un piccolo centro abitato con una chiesa (dove si poteva suonare liberamente l’organo e dove lascio la macchina fotografica per riprenderla un’oretta dopo preso da alcuni attimi di panico), un negozio, un paio di case e un pub, dove mi concedo un paio (e va bene, erano un più di un paio) di birre per dare un po’ di brio alla giornata. Chiedo al proprietario se posso mettere la tenda dietro al pub e scambio due chiacchiere con alcuni degli alcolizzati che rallegrano il locale.

Dopo aver fatto una magra colazione con latte freddo e cereali, la mattina seguente mi dirigo verso la Tasman Peninsula, dove si trova la fantastica città storica di Port Arthur. Percorro 90 km, di cui 27 in una strada sterrata (inutile dirvi quanto adoro le strade sterrate, vero?). È una bellissima giornata, finalmente. Dietro consiglio della signora all’ufficio informazioni decido di campeggiare illegalmente in una baia chiamata Stewards Bay. Arrivo in spiaggia intorno alle cinque del pomeriggio e vado via verso le nove, appena fa buio. Faccio stretching, leggo, scrivo, passeggio e poi sto in silenzio a guardare il mare e godermi il tramonto che dipinge il cielo di rosa. La luna è quasi piena. A rompere questi momenti magici, ci pensando due ragazzine frikettone di Melbourne che arrivano in spiaggia per cucinarsi una sbobba di verdure, bere latte liofilizzato e leggere a voce alta il libro Orgoglio e Pregiuzio. Mi unisco a loro e la prima cosa che noto è la zecca che una di loro ha nell’orecchio. Gliela tolgo e passiamo la serata a dire una minchiata dietro l’altra.

Sveglia alle cinque del mattino. Avevo deciso di prendere un bus con partenza alle sei fino a Sorell, poco prima dell’inizio della Penisola, risparmiando così una sessantina di chilometri che avevo già percorso. Odio fare la stessa strada due volte! Dopo un’oretta di viaggio mi accorgo di avere in testa la torcia ancora accesa e capisco perché tutti i ragazzini che salivano mi guardavano in modo strano…

Nonostante Sorell sia una delle cittadine più antiche della Tasmania non mi entusiasma tanto, quindi dopo aver fatto colazione in un ottimo pastificio e una pausa al parco, mi dirigo a Richmond che al contrario di Sorell mette in mostra tutto il fascino di una cittadina storica. Faccio visita alle due chiese, passo un po’ di tempo nel parco davanti al ponte più vecchio dell’Australia  e visito il centro storico. Qui incontro Simone, un ragazzo toscano che vive ad Adelaide venuto in Tasmania anche lui in bici. Scambiamo due chiacchiere per poi salutarci intorno alle cinque.

Dopo un’oretta arrivo ad Hobart, la capitale.

Ho attraversato metà Tasmania.