Partenza da Melbourne e Great Ocean Road

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Dopo essere tornato dalla Tasmania e aver passato una decina di giorni immerso nella foresta e nelle fattorie a raccogliere frutta, fermarmi in città mi ha fatto uno strano effetto. O forse sono io che ho semplicemente bisogno di essere in costante movimento.

Io devo muovermi, andare avanti. È più forte di me.

Per questi due motivi decido di fermarmi solo due giorni per mettere in piedi due programmi di massima e fare una lavatrice. La strada da Melbourne a Geelong è un lungo rettilineo di una novantina di chilometri molto caotico quindi decido di prendere il treno. Arrivo a Geelong alle undici del mattino. Verso le sei ho appuntamento con la famiglia che mi ospiterà. Faccio un giro della città, nel lungo mare – molto carino – il giardino botanico e verso le due del pomeriggio mi accorgo che non c’è più niente da vedere. In più mi sento un po’ stanco. Decido all’ultimo minuto di provare a fare un cambio di programma: mando una messaggio alla famiglia che mi ospiterebbe a Torquay per vedere se sarebbero disposti ad ospitarmi quella sera.
Faccio un pisolino nel parco e al mio risveglio trovo il messaggio “Ok, no problem”. Mando un messaggio di scuse alla signora che mi avrebbe ospitato a Geelong (un bel bidone insomma) e parto alla volta di Torquay.

La cittadina è spettacolare, con un bellissimo lungo mare e un’atmosfera molto tranquilla. Faccio il bagno nelle gelide acque dell’oceano, ceno e vado a casa di Karla. Facciamo due chiacchiere, poco interessanti, poi vado subito a dormire.

Da qui parte ufficialmente la Great Ocean Road. All’inizio, però, rimango un po’ deluso visto che la strada non costeggia subito il mare. Dopo un po’ di chilometri però il paesaggio cambia completamente. Attraverso Bells Beach (la famosa spiaggia dove venne girata l’ultima scena del film Point Break), Addis Point, il faro di Aireys Inlet e diversi paesini, con spiagge chilometriche e scorci incantevoli. Faccio una piccola sosta a Kennett River, il luogo dove di solito si avvistano i koala che sballati abbracciano i rami di eucalipto e se ne stanno belli addormentati al sole. Oggi a quanto pare avevano di meglio da fare, dato che io, come tanti altri turisti che erano lì con il naso all’insù, non ne abbiamo visto neanche l’ombra.

Percorro 90 chilometri, gustandomi il vento a favore e la bellissima giornata di sole. L’inizio della nuova tappa non poteva andare meglio di così.

Oggi mi sono accorto che sto diventando misantropo, quasi mi infastidisce raccontare sempre le stesse cose. Sto pensando infatti di scrivere un fogliettino con una sintesi del viaggio, consegnarlo ogni volta che incontro delle persone e dire “senti questa è la mia storia, leggitela appena hai tempo, ora parlami di te”.

Campeggio in un posto nascosto, non lontano dalla spiaggia. Quasi mi fa strano non sentire la pioggia battere sulla tenda. Quasi dimenticavo quanto è affascinante ammirare il cielo ricoperto di stelle.
Un rumore spaventoso mi sveglia in piena notte. Scopro che un cinghiale si è appisolato dietro la mia tenda, russando come un essere umano e di tanto in tanto facendo qualche rumore poco rassicurante. Un’oretta più tardi, dopo aver capito di non correre il rischio di essere divorato, mi riaddormento.
Il giorno dopo arrivo ad Apollo Bay, una cittadina con delle magnifiche spiagge di fronte e verdi colline alle spalle. Faccio un bbq per pranzo, con i giapponesi che mi guardano, e nel pomeriggio, con la pancia piena (un po’ troppo forse) inizio a pedalare ininterrottamente fino a raggiungere Lavers Hill. Il nome vi può far immaginare il tipo di strada. Una grossa sudata per arrivarci. I magnifici panorami fatti di costa frastagliata e acque cristalline scompaiono per dar spazio a una lunga collina che da sull’interno, attraversando una parte di foresta e campi coltivati.
A metà strada incontro un ragazzino tedesco che arrivava da Perth e che pochi mesi fa ha attraversato il deserto del Nullarbor. Inizia a raccontare, facendomi capire che è stata una grande e indimenticabile impresa. Peccato che io avevo appena comprato il biglietto per il treno che da Adelaide mi porterà a Kalgoorlie (subito dopo il deserto). Mi mangio le dita per i successivi chilometri, fino a che non trovo un posto dove campeggiare, anche stanotte sotto un cielo pieno di stelle e accompagnato dal canto delle cicale.

Essendo in collina, il clima è leggermente più fresco, quindi la mattina seguente mi sveglio battendo i denti. Arrivo lungo la costa, dopo esser sceso dalla collina con i guanti addosso, e lo spettacolo che mi si presenta davanti ha dell’incredibile. Sembra di essere da tutt’altra parte: bassa vegetazione e alte scogliere a picco sul mare. Il Port Campbell National Park è in effetti il luogo dove si trovano le principali attrattive della Great Ocean Road. Per esempio i fotografatissimi 12 Apostoli, dei faraglioni di roccia che sbucano dall’oceano e che con il passare degli anni stanno crollando uno dopo l’altro (infatti non sono più 12 e nessuno sa dire quanti siano esattamente). Percorro una sessantina di chilometri, piano piano faccio sosta in tutti i punti panoramici segnalati lungo la strada e per pranzo mi fermo nella baia di Port Campbell, dove passo tre orette, faccio la doccia e mi riposo sul prato davanti alla baia.

Incontro un ragazzo tedesco che viaggia in solitaria con un mini van. Mentre si discute sui luoghi dove poter dormire, mi parla dei tramonti che si ammirano lungo la Great Ocean Road. Da questo momento in poi ho un nuovo scopo per la fine della giornata. Indovinate quale.
Verso le cinque e mezza trovo un posto incantevole letteralmente sopra uno scoglio che si affaccia sul lato occidentale della costa. All’inizio è piuttosto battuto dal vento – ma per godermi il tramonto ero disposto a tutto – poi invece, appena cala la notte, tutto cessa e si sente solo la potenza delle onde che si frantumano sotto di me.
Il tramonto lo annovero nella lista dei migliori mai visti fino ad ora.Il cielo è limpido e piano piano si colora prima di arancione e poi di rosa. Il sole è una grossa palla infuocata che si specchia sul mare e riscalda tutta la costa con le alte scogliere e i faraglioni di roccia che sbucano dal mare. Uno spettacolo unico. Non riesco a smettere di fare foto, forse preso dalla paura di dimenticare quel momento.

Appena cala la notte, mi rinchiudo in tenda. Stanotte, alle cicale e al cielo ricoperto di stelle, si aggiunge l’oceano, le cui onde producono un rumore simile a quello degli aerei e con una potenza disumana si frantumano sulla costa.

L’indomani mattina mi gusto l’alba mentre faccio colazione. Ormai mi sono innamorato di questo posto e faccio difficoltà ad andare via. Nonostante le borse siano già sulla bici, mi siedo a bere un thé e a leggere. Vaddo via verso le 11:30. Inizio a pedalare verso gli ultimi chilometri della Great Ocean Road e il tempo è spettacolare. I primi dieci chilometri offrono gli stessi paesaggi visti fino ad allora, i restanti 50 km, invece, sono dei lunghissimi rettilinei in mezzo a dei campi conlivati. Poco prima di Warrnambool, dove mi devo fermare per la notte, faccio una sosta in un fabbrica di formaggi, per rallegrare un po’ il pomeriggio di pedalata noiosa.

È ufficialmente terminata la Great Ocean Road. Quasi mi vieni voglia di tornare indietro.